È possibile la trascrizione in italia del matrimonio same sex fra cittadini stranieri?

Pubblicato su Il Familiarista

Ai sensi dell’ art. 19 d.P.R. n.396/2000 è possibile la trascrizione degli atti dello stato civile formati all’estero, ma solo tra cittadini stranieri in quanto, nel caso di cittadini italiani, la Corte di Cassazione ha già sancito l’intrascrivibilità del matrimonio celebrato all’estero fra persone (italiane) dello stesso sesso.

SOMMARIO: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La questione – 4. Le soluzioni giuridiche – 5. Osservazioni

Marketing a prova di privacy nel social

Marketing social ? tradizionale

Creare un prodotto di marketing che rispetti le esigenze di protezione dei dati personali significa proporsi una sfida non da poco. Se a ciò si aggiungono le moderne necessità di un ambiente social, tale quadro rischia di complicarsi per chi non comprenda a fondo le diversa natura del marketing tradizionale rispetto al nuovo marketing non convenzionale.
Alla classica definizione di marketing, incentrata sul paradigma delle 4P (Product, Price, Place, Promotion),[1] si aggiunge l’ulteriore variabile del cliente, passando da una logica di marketing Product-oriented ad una Customer-oriented.
L’ambiente di rapida evoluzione e fulminea condivisione dei social network, non ammette, ad oggi, una implementazione della protezione dei dati personali come pensiero secondario rispetto al prodotto di marketing. Il rispetto della normativa deve accompagnare il design stesso, come sostenuto da anni dall’approccio di Privacy by Design.[2]

Tra i punti più interessanti di tale modello si rilevano:

2. Privacy as the Default Setting
6. Visibility and Transparency – Keep it Open
7. Respect for User Privacy – Keep it User-Centric
Il primo di questi punti si rende necessario per le caratteristiche proprie dell’utenza social. Formata da qualunque tipo di classe sociale ed educazione, è solitamente meno interessata alla lettura di complicate informative, e la prestazione del consenso non è che un breve tramite per accedere velocemente al servizio richiesto. Prevedere l’opt-in per tutti quei trattamenti che rischiano di incidere sui dati personali degli utenti resta in questi casi la soluzione più indicata per tutelarli, come di frequente sostenuto anche dal Gruppo di Lavoro Art.29.[3]

Gli ultimi due punti riguardano invece la prospettiva che un social marketing a prova privacy deve mantenere nei confronti dell’utente. Daina Middleton, Head of Global Business Marketing per Twitter ha spiegato, in occasione del Festival of Global Media 2015, che “Instaurare una relazione con gli utenti oggi significa piantare un seme, creare un ecosistema del quale anche i tuoi utenti vogliano fare parte. […]. E dobbiamo smettere anche di chiamarli consumatori. Il termine giusto è partecipanti”.[4]
Questa idea di collaborazione tra titolari ed interessati dal trattamento dei dati personali è inoltre presente nel Codice in materia di protezione dei dati personali, ex art.140, nella previsione di un codice di deontologia e buona condotta per il trattamento ai fini di marketing.[5]

Social Media Marketing e Privacy

Le sfide che il Social Media Marketing si trova ad affrontare versano su due lati della materia della protezione dei dati personali. Una dicotomia che si affianca alla suddivisione del marketing in analitico ed operativo.
Il marketing analitico, proponendosi di analizzare con metodi quantitativi il mercato per conoscere desideri e comportamenti del cliente, pone problematiche di profiling di quest’ultimo.
D’altra parte, il marketing operativo, che ha il compito di realizzare concretamente le strategie definite nelle fasi precedenti, ha storicamente posto problemi riguardo l’invio di materiale pubblicitario indesiderato (spam).
È da notare come questi due ambiti, tradizionalmente posti su un livello di pari importanza, trovano il loro rapporto modificato in un ambiente social.
Il rapporto tra imprese e consumatori non si basa più su pubblicità passivamente assorbita, ma che dia piuttosto uno spunto al potenziale cliente per porsi lui stesso al centro del discorso. È il cliente a farsi strumento dell’Electronic Word of Mouth (EWoM), e di Consumer’s Online Brand Related Activities (COBRA). Prevede infatti il garante nel Vademecum Viva i consigli, abbasso lo spam: “Non è necessario il consenso per scambiare offerte promozionali, a titolo personale, tra amici e conoscenti”.[6]

Questo modo di fare marketing si rivela quindi, da un lato più efficace (vista la fiducia del cliente in amici e conoscenti, e l’alto grado di penetrazione che tali messaggi possono raggiungere), dall’altro lato più rispettoso della privacy. Si può ricordare a tal proposito la campagna 2010 di Burger King “Whopper Sacrifice”: termina 10 amicizie Facebook per ottenere un hamburger.
La campagna portò alla cancellazione di 45000 amici in meno di una settimana.

A questo tipo di “marketing virale” il Garante aveva già fatto riferimento nel 2003, nelle sue “Linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam”.[7]
Veniva innanzitutto premesso come i messaggi promozionali inviati agli utenti dei social network, in privato come pubblicamente sulla loro bacheca virtuale, siano sottoposti alla disciplina del Codice della Privacy, e, in particolare, agli artt. 3, 11, 13, 23 e 130.

Il Garante individua, a tal merito, due specifiche ipotesi:

  1. L’utente riceva, in privato, in bacheca o nel suo indirizzo di posta e-mail collegato al suo profilo social, un determinato messaggio promozionale relativo a uno specifico prodotto o servizio da un’impresa che abbia tratto i dati personali del destinatario dal profilo del social network al quale egli è iscritto.
  2. L’utente sia diventato “fan” della pagina di una determinata impresa o società oppure si sia iscritto a un “gruppo” di follower di un determinato marchio, personaggio, prodotto o servizio (decidendo così di “seguirne” le relative vicende, novità o commenti) e successivamente riceva messaggi pubblicitari concernenti i suddetti elementi.

Nella prima ipotesi, il trattamento sarà da considerarsi illecito, a meno che il mittente non dimostri di aver acquisito dall’interessato un consenso preventivo, specifico, libero e documentato ai sensi dell’art. 130, commi 1 e 2, del Codice.

Nella seconda, l’invio di materiale promozionale effettuato dall’impresa a cui fa riferimento la relativa pagina, può considerarsi lecito se “dal contesto o dalle modalità di funzionamento del social network, anche sulla base delle informazioni fornite, può evincersi in modo inequivocabile che l’interessato abbia in tal modo voluto manifestare anche la volontà di fornire il proprio consenso alla ricezione di messaggi promozionali da parte di quella determinata impresa”. All’interessato dovrà essere comunque garantita una facoltà di opt-out.
La stessa possibilità di opt-out è data in caso di soft-spam, ossia l’invio a clienti di ulteriori messaggi promozionali, via posta elettronica, su beni o servizi analoghi a quelli già acquistati.

Marketing e profiling

Se il marketing diretto da impresa a consumatore è un concetto sempre meno rilevante in ambito social, il profiling (tra le principali attività del marketing analitico), ha acquistato nuova linfa vitale.
Quando si ha intenzione di lasciare che siano gli utenti a diffondere il proprio messaggio è necessario che questi ultimi siano ben conosciuti. Si possono trovare argomenti a favore di un “marketing mirato”, che personalizzi il proprio messaggio a seconda dell’utente con cui si rapporta, ma non bisogna soprassedere sui suoi pericoli.
Per esempio, nel 2012, una teenager americana profilata dalla catena di supermercati Target, ricevette a casa un opuscolo di congratulazioni per il nuovo figlio. Gli algoritmi di Target avevano considerato i suoi acquisti nei mesi precedenti come predittivi di un’alta probabilità di gestazione, ma avevano mancato di considerare come il padre della ragazza, con cui essa viveva, non fosse a conoscenza della situazione.[8]
La disciplina del profiling degli utenti è stata recentemente armonizzata e chiarita dal Garante nelle linee guida del 06 Maggio 2015: “Profilazione on line: regole chiare e più tutele per la privacy degli utenti”.[9]
Innanzitutto il profiling viene indicato come “la definizione di “profili” di utenti (sulla base di caratteristiche, comportamenti, scelte, abitudini) allo scopo di fornire servizi o promozioni personalizzate”, e che la disciplina dovrà essere adottata da “tutti i soggetti stabiliti su territorio nazionale che forniscono servizi on line”.
Parte centrale della tutela è affidata al consenso dell’utente, che sarà necessario “per qualunque attività di profiling diversa da quelle necessarie per la fornitura del servizio”. Tale consenso sarà richiesto anche da parte di utenti non autenticati, che sarebbero altrimenti comunque tracciabili attraverso cookie e loro IP.
Punto essenziale per chi voglia procedere a profilazione, è inoltre, ex art.13 del Codice in materia di protezione dei dati personali, la previsione di un’informativa. Il garante raccomanda, in questo caso, che sia strutturata su più livelli: un primo livello, immediatamente accessibile con un solo click dalla pagina visitata, con tutte le informazioni di maggiore importanza (ad esempio l’indicazione dei trattamenti e dei dati oggetto di trattamento); un secondo livello, accessibile dal primo, con ulteriori dettagli sui servizi offerti. Ciò in maniera non dissimile da quanto previsto in tema di cookie.
Profilazione e cookie si muovono spesso di pari passo, essendo questi ultimi uno strumento tecnico necessario per tenere traccia di abitudini e comportamenti dell’utente.

Il marketing mirato si suddivide infatti in:

–          Contextual marketing, legato ai contenuti visualizzati dall’utente

–          Segmented marketing, mirato ad utenti facenti parte di un determinato gruppo

–          Behavioural marketing, personalizzato per il comportamento specifico del singolo utente

Se il primo tipo di marketing non ha bisogno di complessi elementi tecnici, gli ultimi due devono poter ricollegare il messaggio promozionale ad ogni dato utente, in relazione alla sua appartenenza ad un segmento di mercato ovvero alle sue specifiche preferenze.
Questo avviene attraverso cookie e scambio dei relativi dati tra social network e web in senso ampio.
Ha previsto il Garante, nelle linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam, come due categorie di soggetti siano coinvolte in tale scambio:

–          Chi raccoglie i dati degli utenti, per comunicarli ad altri soggetti per finalità promozionali, può acquisire un unico consenso valido per tutti i soggetti terzi indicati singolarmente o per categorie (economiche o merceologiche) nell’apposita informativa fornita all’interessato. Se l’informativa fornita è completa, non è necessario che le società che hanno acquisito i dati rilascino un’ulteriore informativa prima del loro utilizzo.

–          Chi riceve i dati degli utenti, deve prestare attenzione anche quando acquisisce liste di dati personali da altri soggetti e non direttamente dai potenziali clienti: prima di utilizzarli è infatti necessario verificare (magari con controlli a campione) se gli interessati abbiano dato il proprio consenso al tipo di trattamento dati che si vuole svolgere. L’azienda deve poi ricordarsi di fornire l’informativa a queste persone già al momento della registrazione o del primo utilizzo dei loro dati.

Questo tipo di informative sono state prese in considerazione dal Garante nella disciplina dei cookie profilanti di terze parti nel provvedimento dell’8 maggio 2014 “Individuazione delle modalità semplificate per l’informativa e l’acquisizione del consenso per l’uso dei cookie”.[10]
Fa quindi piacere rilevare come il Garante si sia recentemente mosso sui molti fronti di invio di messaggi promozionali, profilazione e cookies, in modo da rendere il social marketing a prova di privacy.
Nel 2010 Mark Zuckerberg dichiarava “l’era della privacy è finita”.[11] Oggi, nel 2015, sembra che la protezione dei dati personali sia su una lunga ma buona strada.

 

[1] McCarthy, Jerome E. (1964). Basic Marketing. A Managerial Approach. Homewood, IL: Irwin.

[2]La Privacy by Design anticipa la visione che il futuro della privacy non può essere assicurato unicamente dal processo di conformità con il sistema normativo; piuttosto, la garanzia della privacy deve costituire idealmente un modo di operare di default di un’organizzazione.

[3] WP 163 – Opinion 5/2009 on online social networking – Art.29 Working Party

[4] Wired, 15/05/15, visitato il 28/06/15 – http://www.wired.it/ internet/social-network/2015/05/15/marketing-social-network/

[5] Vedere al riguardo anche Article 29 Working Party, WP 174 “Opinion 4/2010 on the European code of conduct of FEDMA for the use of personal data in direct

[6]Garante per la protezione dei dati personali, Doc. web 3867789, 20/04/15 – “Viva i consigli, abbasso lo spam

[7]Garante per la protezione dei dati personali, Doc. web 2542348, 04/06/13 – “Linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam

[8] Forbes, 16/02/12, “How Target Figured Out A Teen Girl Was Pregnant Before Her Father Did” – http://www.forbes.com/

sites/kashmirhill/2012/02/16/how-target-figured-out-a-teen-girl-was-pregnant-before-her-father-did/, visitato il 28/06/2015

[9] Garante per la protezione dei dati personali, Doc. web 3921331, 06/05/15 – “Profilazione on line: regole chiare e più tutele per la privacy degli utenti

[10] Garante per la protezione dei dati personali, Doc. web 3118884, 8 Maggio 2014, “Individuazione delle modalità semplificate per l’informativa e l’acquisizione del consenso per l’uso dei cookie

[11] Schneier 2010

La mamma? Ti visiterà via Skype

 

Pubblicato su l’Espresso

Per la prima volta in Italia un giudice decide incontri «solo via Internet» tra le figlie e il genitore non affidatario. Un modo per iniziare a riannodare rapporti dopo anni di gravi problemi

Separazione giudiziale complicata? Difficoltà a ristabilire un rapporto equilibrato tra genitori e figli? Da oggi, in Italia, la tecnologia può essere, in qualche misura, una soluzione, seppure temporanea. Perché, in luogo degli incontri tra madre non affidataria e figli minori, può essere sufficiente, ora, una “sessione” via Skype.

Un’ordinanza della nona sezione civile del tribunale di Milano, infatti, lo scorso 16 aprile, ha costituito un precedente rivoluzionario nella giurisprudenza sul diritto di famiglia. Nella testo il giudice ha infatti stabilito che “Nel caso in cui si registri una difficile ripresa dei rapporti tra lun genitore e i propri figli minori, una interazione audiovisiva in diretta tra genitore non collocatario e figli minori realizzata attraverso un collegamento Skype può consentire una graduale ripresa di un dialogo tra gli stessi, attraverso una percezione visiva ed in voce fatta, sì, di comunicazione (essenzialmente) verbale, ma che al contempo può favorire una ri-abitudine alla gestualità e allo scambio emotivo (fossanche aspro nei primi tempi)“.

Il caso riguarda una separazione problematica tra due coniugi di Milano. Durante il procedimento, le figlie minorenni sono state affidate, per un breve periodo, a una struttura sociale del Comune, per poi essere riassegnate al padre che, nel frattempo, ha ricostituito un nucleo famigliare con una nuova compagna. Ma il rapporto con il genitore non collocatario si è mostrato impraticabile.

Le due ragazzine, infatti, hanno rifiutato la presenza della madre nella cornice di “incontri protetti”, effettuati in presenza di operatori dei servizi sociali del comune di residenza. Prassi che viene attuata in questi casi. La madre, nel frattempo, si è trasferita in Francia. Dunque, di fronte a un duplice ostacolo – relazionale e logistico – e con l’obbligo di ricostituire un rapporto parentale, il giudice, col consenso dei genitori, ha deciso che la madre potrà “incontrarsi” con le bambine, seppur virtualmente, tramite il collegamento Skype, e in presenza del padre, una volta a settimana. In via “provvisoria e sperimentale”. Ai Servizi Sociali sarà demandato il compito di monitorare l’evoluzione relazionale. 

Nell’ordinanza si legge: “Se le bambine, data la storia matrimoniale e la separazione duramente conflittuale, hanno difficoltà a rapportarsi con la madre di presenza, se le strutture dei Servizi Sociali dell’Ente cui le bambine sono state affidate non sono in grado (per l’eccessivo carico di lavoro e la necessità di scadenzare sui tempi lunghi gli incontri) di ammortizzare tali difficoltà e, infine, se la distanza della madre – ritrasferitasi nel villaggio di origine in Francia – costituisce una ulteriore e grave criticità, non resta che il ricorso alle risorse tecnologiche per consentire il ‘rapido riavvicinamento’ del genitore con le figlie“. 

Non solo. Il giudice ha ritenuto che Skype potesse essere efficace anche nel rimediare al fattore “tempo”: “Le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui“.

La decisione storica è in piena linea con un recente richiamo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,che ha sanzionato l’Italia per alcune prassi in punto di tutela della bi-genitorialità. L’art. 8 della Convenzione Europea, infatti, determina precisi obblighi volti a garantire il rispetto della vita familiare e dei relativi doveri\poteri da essa sottesi. Con esso vi è il monito che lo Stato disponga di un “arsenale giuridico adeguato ed efficace per garantire i diritti legittimi delle persone interessate e il rispetto delle decisioni dei tribunali”. Tali obblighi includono, anche, “l’insieme di quelle misure propedeutiche e preparatorie che consentano di raggiungere questo risultato”. 

Ma com’è stata accolta la straordinaria ordinanza? La premessa sembra aprire un dibattito piuttosto articolato tra pareri giuridici, sociologici e tecnici. L’avvocato Fabio Francesco Franco, che assiste dal punto di vista legale i nuclei familiari in vicende simili, ritiene che la decisione segni una svolta da cui scaturiranno molti casi analoghi, in futuro: “Non sempre lo strumento degli ‘incontri protetti’ dà un buon esito. 

L’utilizzo di un mezzo che parla lo stesso linguaggio delle minori può garantire un approccio più morbido, nel nodo relazionale con la madre. Si tratta, naturalmente, di qualcosa di propedeutico a futuri incontri “de visu” e al ripristino di un rapporto più equilibrato. Io stesso, dopo l’ordinanza, proporrò al giudice una soluzione simile in una causa che sto seguendo qui a Roma. Si tratta di una separazione giudiziale tra due coniugi in cui il padre non vede la bambina da ben 18 mesi. L’avvio di precedenti incontri “protetti”, anche in questo caso è fallita. Perché non provare, dunque, con la tecnologia?”. 

Più cauta è Margherita Zurru, legale specializzato in diritto di famiglia e madre separata: “La decisione rappresenta un passo in avanti nell’adeguamento della disciplina nazionale a quella europea: attraverso l’utilizzo di metodi non convenzionali si evita la rottura dei rapporti col genitore non affidatario. Può essere una strada da percorrere, tanto più in considerazione del fatto che le ordinanze hanno un carattere provvisorio: sono provvedimenti necessari, urgenti e indifferibili. Possono, cioè, essere modificati in qualsiasi momento, portando nuovi elementi al giudice, nella causa di separazione, o a seguito della valutazione di un esito negativo nell’adozione della procedura innovativa. Però, da mamma separata, ritengo che sia piuttosto triste frapporre una barriera fisica tra genitori e figli. Certo, è comunque preferibile a una soluzione drastica di rottura totale dei rapporti”. 

Del tutto negativo, invece, il parere di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori: “Bisogna mettersi dalla parte dei figli. I minori hanno bisogno della presenza del genitore, dell’aspetto tattile, emozionale, chimico. Anche se l’utilizzo del mezzo è ausiliario in senso positivo, un rapporto così mediato è un rapporto falsato, che inquina e distorce la relazione. È allora preferibile che vi siano meno incontri, durante l’anno, ma fisici. Il surrogato non è accettabile: è alienante. L’adolescente vive già in un magma fatto di flussi virtuali e di realtà. È un linguaggio con codici estremamente insidiosi, molto difficili da gestire già per un adulto. Pensi al discorso del falso registro emozionale che nasce nel circuito dei social network. Sono armi potentissime, che possono anche distruggere, anche se a mediare è un adulto. I manuali di psicologia sociale insegnano che bisogna rispettare il lutto del bambino, l’elaborazione del dolore. Il minore ha una volontà di diritto. Sarebbe preferibile, per un po’, assecondare il desiderio delle due figlie di non vedere del tutto la madre, ma la nostra giurisprudenza, e anche i genitori, in questo sono molto egoisti. Tengono conto solo di un punto di vista. Io credo che i contatti via video siano una bolla di sapone: possono perfino peggiorare i rapporti, anche se il fine è quello di mantenere una comunicazione”. L’Espresso ha chiesto anche un parere al Comune di Milano, Settore Servizi Sociali (quello deputato a effettuare gli “incontri protetti” sostituiti da Skype) che ha preferito non rilasciare nessuna dichiarazione in merito, perché “non di sua competenza”.

I ‘forzati’ della famiglia

Pubblicato su Rai Televideo

Uniti ‘per forza’, complice la crisi economica. Sono sempre piu’ numerose le coppie che decidono di restare insieme perche’, per motivi economici, non possono permettersi di lasciarsi definitivamente. Se infatti nel Regno Unito separarsi costa minimo 13mila sterline (poco meno di 15mila euro) ma si arriva anche a 50mila (quasi 57mila euro) nei casi piu’ difficili, l’Italia non e’ da meno.

Quanto costa ‘dare un taglio’ al proprio matrimonio solo di spese legali? “Negli ultimi due anni c’e’ stata una riduzione dei divorzi, e soprattutto una riduzione delle persone che dopo la separazione hanno divorziato – afferma Fabio Francesco Franco, avvocato matrimonialista a Roma, a Ign, testata online del Gruppo Adnkronos – Perche’ noi abbiamo ancora il doppio procedimento: abbiamo la separazione personale, che e’ uno dei presupposti per poi arrivare alla cessazione del matrimonio o allo scioglimento a seconda che ci sia o meno l’unione in chiesa”.

Le spese sono quindi doppie per chi vuole arrivare al divorzio vero e proprio, e la differenza in entrambi i casi la fa la consensualita’ tra i coniugi. “Dal decreto Bersani, non abbiamo piu’ l’obbligo di osservare minimi tariffari. In realta’ una tariffa forense e’ rimasta e se ne tiene conto. Ora un approccio un po’ diverso alla professione vorrebbe che si potessero richiedere e redigere preventivi abbastanza attendibili – prosegue Franco – non e’ sempre facile per tutti i procedimenti predeterminare con esattezza la spesa complessiva ma di certo un ordine di grandezza ci puo’ essere. E’ chiaro che piu’ la situazione e’ semplice e piu’ e’ facile ottenere un preventivo attendibile”.

Ma qual e’ una cifra minima sotto la quale un avvocato non puo’ andare? “Una separazione consensuale semplice puo’ avere un costo, comprensivo di Iva e Cassa avvocati, che va dai 3mila ai 5mila euro per entrambi i coniugi. Se si assiste solo uno dei coniugi, tutta la cifra viene addebitata a uno solo dei coniugi”, sottolinea l’avvocato.

Quindi un modo per risparmiare, se non c’e’ una grossa conflittualita’, e’ certamento quello di optare per un unico avvocato per entrambi. “Quando non c’e’ accordo tra i coniugi, invece, si parla di una separazione giudiziale. Se semplice, molto dipende dal patrimonio e dal numero dei figli, si va comunque da un minimo di 8mila fino a 15mila euro: si parla in questi casi di giudizi che come minimo durano 2-3anni”. E per chi arriva a divorziare, c’e’ comunque da aggiungere un minimo di altri 4mila euro.

“Adesso poi c’e’ anche il contributo unificato che non aiuta. Prima di questo ultimo decreto Sviluppo, i provvedimenti per separazioni e divorzi erano esenti dal pagamento del contributo unificato, quindi dalla tassa per l’iscrizione al ruolo. Non e’ molto, ma sono state comunque inserite due tariffe da 37 e 85 euro”, sottolinea Franco.

Ma e’ possibile andare da un avvocato e chiedere un preventivo senza rischiare di vedersi ‘prelevata’ gia’ qualche centinaia di euro? “La prassi vuole che il primo colloquio sia orientativo e gratuito, con un’idea di preventivo che si cerca e si deve rispettare per quanto si puo’. Un preventivo, con specificate anche le varie voci e spese, e’ importante anche per poter fare poi dei raffronti tra le varie opportunita”‘, continua l’avvocato.

Il primo colloquio e’ tra l’altro il piu’ importante: “E’ quello che ti richiede piu’ partecipazione, sia a livello di tempo che psicologico: perche’ devi cercare di capire chi hai davanti, se le problematiche sono reali e che tipo di consulenza vuoi dare. E devi anche essere corretto nel dire che certe cose che gli sono state prospettate non sono raggiungibili. Un approccio un po’ moderno e’ quello di dire: io ti faccio un preventivo, ci metto tutta la mia professionalita’. Se vinciamo, vinciamo insieme e se perdiamo, perdiamo insieme. Per questo non posso prometterti la luna”. Capita comunque che la gente arrivi con piu’ preventivi in mano: “Non bisogna farsi ‘fuorviare’ dalle tariffe piu’ alte: chi la presenta non e’ detto che sia il migliore e viceversa. Ma nel caso di preventivi molto bassi, e’ importante capire cosa fa per te l’avvocato”, conclude il legale.

Per chi guadagna poco (sotto i 10mila euro), in ogni caso, c’e’ il gratuito patrocinio, beneficio previsto dalla Costituzione, che consiste nel fornire assistenza legale gratuita.

Sull’argomento ‘Altroconsumo’ ha svolto un’inchiesta che ha coinvolto 19 professionisti in 7 citta’ (Milano, Torino, Padova, Roma, Napoli, Bari e Palermo), denunciando poca trasparenza, primo colloquio a pagamento e parcelle salate (fino a quasi 5.000 euro sopra la tariffa massima), anche se gli esempi virtuosi non mancano.

Il caso prospettato riguardava la separazione consensuale tra due coniugi in divisione di beni, senza figli, stesso livello di reddito, senza alcuna pretesa di uno dei confronti dell’altra. Un caso dall’indiscutibile semplicita’, come sottolineato da tutti gli avvocati interpellati, tra cui figurano studi affermati e avvocati meno noti con “negozi su strada” o che utilizzano la pubblicita’ su giornali e su Internet per farsi conoscere.

Non vi e’ dunque alcun motivo per superare la tariffa massima, anzi ci sono tutti i presupposti per applicare i minimi, quelli che, nonostante l’abolizione (intervenuta con la famosa legge Bersani), continuano a essere un riferimento per gli Ordini. Solo uno studio (a Palermo) ha proposto il minimo, anzi, e’ andato sotto. La maggior parte e’ rimasta sotto i massimi. Addirittura, tre professionisti (due a Milano e uno a Roma) hanno sforato la tariffa massima. A Milano il preventivo piu’ alto: 7000 euro, vale a dire quasi 5.000 oltre i massimi.

Dal punto di vista della trasparenza, cioe’ la disponibilita’ a riportare per iscritto su carta intestata e a dettagliare il preventivo, sono – a detta di Altroconsumo- gli studi legali piu’ noti e stimati che lasciano piu’ a desiderare. Su 9 matrimonialisti, definiti dall’associazione, “di grido”, ben 6 non hanno voluto scrivere cifre, limitandosi alla comunicazione a voce dei costi. Mentre tra gli studi meno conosciuti, la situazione si ribalta: e’ successo 2 volte su 10.

“Da questa indagine emerge che ci sono problemi di trasparenza e anche di costi, anche quando si tratta di una caso semplice come quello presentato – afferma a Ign Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo – E’ chiaro che non ha valore statistico. Il nostro scopo era far vedere che con le recenti riforme – spesso osteggiate dagli avvocati stessi – qualcosa e’ cambiato ma ancora poco”.

“E’ molto grave – prosegue Martinello – la richiesta di somme maggiori rispetto alla tariffa massima. E’ vero che parliamo di un’attivita’ complessa, ma chiarezza e trasparenza sono necessarie sempre e in ogni caso”, conclude il presidente di Altroconsumo.