L’impresa che cresce è una sfida per il mondo della consulenza. Il parere del Dott. Andrea Arrigo Panato

Oggi le PMI più dinamiche ed innovative sono consapevoli di trovarsi a un punto di svolta, sentono il bisogno di tornare a crescere ridisegnando l’impresa e il settore in cui operano a partire dalla valorizzazione della propria storia e tradizione aziendale.
Sono consapevoli di dover intraprendere un percorso volto a renderle attraenti per gli stakeholder, soggetti spesso trascurati nel passato ma oggi sempre più fattori critici di successo.

La tentazione dell’eterno rimandare
Per raggiungere l’obiettivo, queste imprese devono vincere la tentazione dell’eterno rimandare, e affrontare quelle scelte e quei momenti di discontinuità strategica e/o familiare che in un mercato dinamico come l’attuale sono sempre più frequenti.
Creare valore in tali momenti richiede la consapevolezza che le modalità con cui fare impresa in questi anni sono cambiate: velocità, innovazione, crescita dimensionale, compagine sociale aperta a nuovi investitori, curiosità, diverso bisogno formativo e consulenziale sono solo alcuni dei temi da affrontare.
È una grande sfida, forse ancora non del tutto compresa nella sua portata dagli imprenditori e soprattutto dai loro consulenti.

Imparare ad analizzare il proprio business con gli occhi dell’investitore
L’obiettivo di noi consulenti deve essere quello di supportarle nella definizione della visione e fornire loro un metodo, perché imparino a cogliere le potenzialità derivanti dalla fusione tra un DNA composto da una forte tradizione, fatta di storia e valori spesso anche familiari, e un nuovo e più complesso modo di fare impresa.
Il rischio maggiore che tutti noi corriamo è infatti quello di affrontare un mercato nuovo con modelli di business vecchi, di sentirci innovativi per aver acquistato un nuovo software o un nuovo impianto, ma non per l’uso che ne facciamo.
Parliamo tanto di innovazione tecnologica – forse troppo –, dimenticandoci che non sempre tanta tecnologia si traduce in vera innovazione e in creazione di valore.
I nuovi modelli, soprattutto organizzativi, richiedono spesso di disimparare ciò che si è fatto finora e di imparare un nuovo modo di rapportarsi col mercato e con la produzione.
Ecco allora che le PMI devono abituarsi ad analizzare il proprio business con gli occhi dell’investitore, per fugare il rischio di accontentarsi e di essere eccessivamente indulgenti verso se stesse.
Da sempre abituate a procedere per innovazioni incrementali, devono trovare il coraggio di ripensarsi completamente ripensando, ove occorra, il proprio modello di impresa. Devono porsi il problema di come l’enorme disponibilità di dati impatterà sul loro operare, di come gestire questi dati, verificarne la qualità, analizzarli a proprio favore. Imparando ad agire secondo un metodo logico razionale e con adeguato scetticismo.

Riconoscere l’obsolescenza di una strategia e di un modello di business è per un imprenditore un atto contro se’ stesso e contro le proprie certezze: per questo è difficile da compiere, richiede coraggio, va affrontato con forza. Cambiare è difficile soprattutto se si viene da una storia di successi. Molte delle nostre PMI hanno contribuito al benessere del fondatore e della sua famiglia, delle persone che vi lavorano e del paese in cui hanno sede. Sono state per lungo tempo, e in molti casi sono ancora ovviamente, uno strumento di promozione sociale.

Vivo anche io, come professionista, la difficoltà a mettere in discussione un modello di successo.
La difficoltà a mettere in discussione un modello di successo è assolutamente comprensibile e la sperimento come professionista ogni volta che mi trovo a ridefinire la strategia del mio Studio. La vedo anche negli occhi di mio figlio quando deve decidere di distruggere le vecchie costruzioni dei Lego per farne di nuove: mi costringe a fotografarle con il cellulare per non perderle del tutto, ci è affezionato, per lui sono piccoli successi, ne va fiero. Ma se non distruggi il vecchio non hai i pezzi per costruire il nuovo, migliorandolo, salvandone il meglio. E mentre gli spiego tutto questo, lo vedo smontare gli omini mischiando parti dei pirati con pezzi dei soldati. Emergono questa volta le mie di resistenze al cambiamento: «Gli omini no, quelli vanno lasciati stare!». Sorrido, scoprendo che i limiti del padre sono in fondo gli stessi del consulente e che l’unico modo di affrontare un cambiamento così radicale è quello di crescere insieme, imparando gli uni dagli altri. Qualcuno lo chiama ecosistema. Ecosistema di cui sia le imprese sia noi consulenti facciamo parte. Per questo è necessario sceglierci reciprocamente per crescere insieme.

Un’unica bussola: la valutazione dell’azienda e la teoria della creazione del valore.
Le startup hanno due caratteristiche che per frequenza ed intensità le differenziano dalle PMI tradizionali: il costante mettersi alla prova nell’ effettuare scelte imprenditoriali (quale mercato? quale prodotto? quale team? ecc.) e l’ossessione per la crescita e l’exit.
Ogni volta che abbiamo aiutato le startup a crescere e le PMI ad affrontare importanti momenti di discontinuità strategica, tutta la nostra attività ha avuto un’unica bussola: la valutazione dell’azienda e la teoria della creazione del valore. Vale per la gestione dell’innovazione, le operazioni straordinarie, il passaggio generazionale o il risanamento di un’impresa, così come per la startup che vede nella exit l’obiettivo principale. Lo stesso approccio siamo convinti debba essere adottare nella consulenza alle PMI, testando la validità dei loro business model, misurandone gli asset e la creazione del valore, supportando chi fa impresa nella predisposizione di un business plan che può essere più o meno complesso, qualitativo o quantitativo, a seconda delle esigenze e delle dimensioni dell’azienda e del contesto in cui opera.

Per approfondire
Per chi volesse approfondire trova una sintesi del nostro approccio professionale e della sfida che le imprese dinamiche lanciano al mondo della consulenza in “RESTARTUP, le scelte imprenditoriali non più rimandabili” https://www.amazon.it/Restartup-Andrea-Panato/dp/8823837154, libro edito da EGEA, casa editrice dell’Università Bocconi.
Le riflessioni contenute nel libro nascono soprattutto dalla nostra attività di consulenza professionale e a questa devono la loro concretezza ma anche i limiti che ho cercato di superare mediante un ampio lavoro di ricerca e numerose interviste. Il modello descritto nel testo ha preso forma anche grazie alla partecipazione del nostro Studio con Fabio Francesco Franco a un corso di training in imprenditorialità all’interno di un progetto di ricerca ospitato da The Invernizzi Center for Research on Innovation, Organization, Strategy and Entrepreneurship dell’Università Bocconi che ci ha consentito di sperimentare per diversi mesi che cosa significhi essere una startup, con tutti gli entusiasmi e le contraddizioni tipici di quel mondo.

Dove si crea innovazione. Una chiacchierata con la Prof. Claudia Sandei

A chi serve la funzione legale?
Nella mentalità imprenditoriale diffusa, “ufficio legale” fa spesso rima con “compliance”. Una parola inglese con cui si tende soprattutto ad esprimere un concetto di obbedienza al sistema giuridico: in questo senso il ruolo del giurista viene avvertito come un costo, a volte sproporzionato. Tanto che molte PMI preferiscono esternalizzare questo servizio, o non ricorrervi affatto.
Ma è proprio così? Secondo la prof.ssa Claudia Sandei, docente di diritto commerciale dell’Università di Padova e coordinatrice del progetto di didattica innovativa Millennial Lawyers, si tratta di una visione che non tiene conto delle opportunità e insieme delle sfide portate dalla trasformazione digitale, sottolineando come siano due i profili da considerare.
Il primo riguarda proprio il ruolo del giurista, la cui posizione non può più intendersi marginalizzata alla semplice verifica di un’astratta compatibilità fra il prodotto, il servizio, il modello desiderato dal management e l’ordinamento vigente. Perché quando si parla di AI, big data, blockchain, spesso non c’è un diritto, soprattutto manca la guida della giurisprudenza e così tocca muoversi su terreni incerti. E poi bisogna conoscere bene le tecnologie con cui si ha a che fare. Insomma è anche una questione di (nuove) competenze e, più in generale, si potrebbe dire di nuove funzioni. Se invero si vuole evitare di investire tempo e risorse in progetti inattuabili sul piano giuridico, ecco che l’attività del legale si deve anticipare alla fase di progettazione. Si pensi, solo per fare un esempio banale, ad un’impresa che sia determinata a realizzare un sistema di IA per automatizzare certi processi: un tempo gli ingegneri avrebbero presentato al giurista il prodotto già pronto, ciò che oggi non sarebbe affatto conveniente e neppure possibile, atteso che per realizzare il sistema, prima ancora quindi che per la sua messa in funzione, occorre valutare se e quali dati (di allenamento) sono effettivamente disponibili secondo il sistema giuridico e per quali finalità o con quali modalità possono essere trattati.
Il secondo aspetto riguarda invece l’espletamento delle funzioni del giurista d’impresa. Mentre tutti i reparti hanno visto evolvere le proprie modalità operative, in molti uffici legali si continua a lavorare con Word e Outlook. Ma i tempi sono cambiati ed è ormai ora che lo spirito efficientistico che accompagna la quarta rivoluzione industriale penetri anche negli uffici legali, così da rendere il loro servizio più economico, sicuro, veloce. Certo si tratta di un cambiamento non banale, che richiede energia, visione e competenze ma come dimostra l’esperienza del Legal Tech Camp realizzato dagli studenti di Padova in collaborazione con la legal tech Rokh, per Diadora e De Longhi, gli strumenti ci sono e l’Università è pronta ancora una volta a svolgere il suo ruolo di guida.
Del resto siamo nell’era dei Millennial ed è giusto dare spazio anche a loro, che con questi linguaggi ibridi ci sono nati. Tanto più che senza l’apertura ad un confronto intergenerazionale sarà difficile anche che le imprese possano comprendere quali sono i bisogni autentici e le aspirazioni dei giovani d’oggi, presupposto essenziale per un recruitment di qualità e di valore, che porti e mantenga in azienda i talenti migliori.
Ci credono i protagonisti e ci crede anche Assindustria Venetocentro, che in autunno siglerà proprio con l’Innovation Technology Law Lab, Centro di ricerca del Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto di Padova, una Convenzione per lo sviluppo e il potenziamento di questo tipo di progetti a supporto della digitalizzazione imprenditoriale.
Perché l’innovazione si fa, non si insegna.
Vedremo quante imprese saranno pronte a raccogliere la sfida che partirà ufficialmente il 21 settembre 2022 con un grande evento nelle sale storiche di Palazzo Bo, da otto secoli sede dell’Università di Padova, intitolato “Legal is digital. Così si crea l’ufficio legale del futuro” https://itll.it/.

L’innovazione si realizza, non si insegna

Buona settimana,
abbiamo sempre sostenuto che l’innovazione si realizzi e non si insegni.
In questi anni siamo sempre stati vicini ai nostri assistiti con la curiosità di nuovi processi e nuove tecnologie per creare maggior valore sia per chi agisce che per chi fruisce.
Con le difficoltà ovviamente di provenire dal settore del diritto che spesso insegue piuttosto che precedere l’innovazione.
Proprio per questo inizieremo a pubblicare degli articoli/interviste a professionisti e/o aziende che sono mosse come noi da questa curisosità per il futuro.
Ovviamente vorremmo iniziare un dialogo costruttivo con voi, pronti ad accettare anche eventuali critiche.
Buon lavoro

Diritto ed innovazione per la crescita

E’ una certezza scoprire come le PMI ed ora le Startup costituiscano il motore della nostra economia, ma al tempo stesso di come la digitalizzazione e ‘innovazione siano diventati dei fattori abilitanti e di crescita.
L’Italia è sempre stata ricca di “voglia di fare bene” e le imprese innovative che anche in questo momento storico “impegnativo” stanno crescendo ne sono un importante riscontro.
E-legal Studio Legale ha cercato di essere pronto ad una accelerazione della crescita scoprendo che diritto ed innovazione non sono, come potrebbe sembrare, in antitesi, ma anzi sono una splendida sintesi.
I nostri assistiti hanno realizzato progetti di intelligenza artificiale e blockchain sia nell’agricoltura che nel settore food, chiedendoci di essere al loro fianco per la consulenza legale.
Ed una delle nostre attitudini è proprio quella di seguire i nostri assistiti anche nelle fasi di transizione di crescita sperimentando nuove tecnologie che permettono di innovare rendendo remunerativi settori quali ad esempio l’agricoltura che risentono di una atavica diffidenza verso tutto ciò che è innovazione.
Anche noi cerchiamo di cambiare e raccontare meglio quali sono i nostri obiettivi e le nostre professionalità specifiche.
Per fare questo, dalla prossima settimana, inizieremo ad avere delle chiacchierate con professionisti e società che stanno dando un contributo rilevante all’ innovazione.
E poi cercheremo di spiegare le nuove tecnologie in maniera semplice partendo dal presupposto che solo la consapevolezza di non sapere e la curiosità potranno portarci a dei risultati fuori dalla nostra confort zone.
Ovviamente, in qualsiasi momento, sentitevi liberi di fare domande o apportare suggerimenti e perche no, critiche.
Grazie sin d’ora
Il team di E-legal Studio Legale